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Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 12/12/2001
Giudice: Castiglione
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 236/01
Parti: Ministero delle Finanze / Giovanni C.
LICENZIAMENTO E PATTEGGIAMENTO DEL DIPENDENTE PER DETENZIONE DI STUPEFACENTI


Un dipendente del Ministero delle Finanze trovato in possesso di 505 grammi di hascish, licenziato a seguito di sentenza di pena patteggiata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., chiedeva ed otteneva dal Tribunale del lavoro di Bologna una sentenza dichiarativa di illegittimità del recesso. Contro la sentenza proponeva appello il Ministero, e la Corte d'Appello di Bologna accoglieva il ricorso accertando la legittimità del licenziamento e condannando il lavoratore alla restituzione di tutte le somme erogate in esecuzione della sentenza di 1° grado, sulla base delle seguenti argomentazioni. Una prima censura mossa al Giudice di primo grado è relativa al valore (inesistente) attribuito dallo stesso alla sentenza cd. di patteggiamento (prima dell'intervento legislativo del 1999, che ha equiparato tale sentenza a quella di condanna). Infatti secondo la Corte d'Appello - che si dilunga in ampie citazioni di decisioni della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 313/1990; n. 455/1991; n. 155/1996) e della Corte di Cassazione a Sezioni Unite penale (Cass. S.U. 27.3.1992; Cass. S.U. 8.5.1996; Cass. S.U. 8.7.1998 n. 2976; Cass. S.U. n. 6223/1997) - la sentenza di patteggiamento non può «ritenersi del tutto estranea ad un accertamento giurisdizionale di responsabilità in ordine ai fatti contestati all'imputato» e, comunque, non è «tale da imporre che di essa non si tenga conto nel giudizio civile, fermo restando il divieto di fare stato nello stesso giudizio». Compito del giudice è quindi quello di procedere ad una valutazione autonoma dei comportamenti delittuosi e sulla concreta idoneità dei fatti penalmente rilevanti ai fini della giusta causa di licenziamento, anche utilizzando, come fonte del proprio convincimento, le prove raccolte nel giudizio penale e la stessa sentenza di patteggiamento, per la sua "non estraneità" al citato accertamento giurisdizionale "sommario" di responsabilità. Un secondo motivo di censura alla sentenza Tribunale viene indicata nella ritenuta illegittimità della sanzione espulsiva in quanto adottata «al di fuori delle ipotesi contrattualmente previste» e per avere quindi il Giudice di primo grado «sia pure per implicito, reputato che le previsioni del contratto collettivo costituiscano un limite al potere disciplinare del datore di lavoro ed al suo esercizio discrezionale» e quindi che «il potere di recesso dello stesso datore di lavoro abbia la sua fonte direttamente nella normativa contrattuale collettiva». Secondo la Corte, invece, i concetti di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in relazione al venir meno dell'elemento della fiducia, non possono che essere desunti da modelli o clausole generali i quali, nell'impossibilità di identificare, in via astratta e preventiva tutti i possibili comportamenti materiali costituenti l'illecito, sono fatti assurgere a veri e propri valori ai quali la condotta del lavoratore deve uniformarsi. Ciò anche perché «una elencazione tassativa dei singoli divieti o dei singoli obblighi rischierebbe di rendere insindacabili atteggiamenti, non espressamente contemplati, che tuttavia sono considerati riprovevoli dalla coscienza collettiva (v. Cass. 5822/2000; n. 15004/2000 ed altre)… sicché non è escluso che possa essere considerata quale giusta causa, autonomamente accertabile dal giudice civile, una condotta gravemente inadempiente del lavoratore in relazione alla quale è in corso un procedimento penale». La Corte d'Appello infine prende in esame la problematica relativa alla rilevanza o meno di fatti estranei all'esecuzione della prestazione lavorativa, affermando che essi, pur essendo «in genere da considerare irrilevanti … possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento … quando, per le caratteristiche peculiari del rapporto, la prestazione lavorativa richiede un ampio margine di fiducia (Cass. 9354/99; n. 7884/97)». In tale ipotesi i comportamenti del lavoratore, ancorché non inquadrabili nell'ambito dell'inadempimento, sono «tali da indurre effetti riflessi nell'ambiente lavorativo e di gravità tali da far venir meno l'elemento della fiducia (ex multis: Cass. 1519/93; n. 11500/95; n. 2626/98 ed altre)». Con riferimento al caso di specie la Corte ha ritenuto che - in considerazione della posizione ricoperta dal lavoratore nell'ambito dell'amministrazione finanziaria, il suo status di dipendente pubblico, le mansioni affidategli e la relazione diretta con l'utenza - il comportamento tenuto dallo stesso fosse non solo lesivo del decoro e del prestigio della P.A. ed idoneo a creare disagio all'interno della struttura, ma, soprattutto, presentasse tutte le caratteristiche per pregiudicare la fiducia e la credibilità che stanno alla base dello specifico rapporto di impiego, stante anche la rilevante intensità dell'elemento soggettivo posto in essere nella condotta criminosa




Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 20/05/2002
Giudice: Castiglione
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: Non disponibile
Parti: Giovanna L. / Cassa di Risparmio di Reggio Emilia
LICENZIAMENTO - IMMUTABILITA' DEI MOTIVI - GIUSTA CAUSA - INTENSITA' DELL'ELEMENTO INTENZIONALE - NECESSITA'.


Una impiegata di banca accusata di aver cercato di favorire un cliente a trasferire somme di denaro detenute in Svizzera senza ricorrere ai normali canali bancari era stata licenziata per giusta causa. Il licenziamento veniva impugnato avanti al Tribunale di Reggio Emilia che, pur non ritenendo sussistere la giusta causa, aveva ugualmente considerato che la condotta della dipendente fosse stata «improntata a grossolana superficialità nella valutazione della situazione» integrando una «grave violazione dei doveri professionali idonei a compromettere definitivamente il vincolo fiduciario del rapporto»; conseguentemente aveva dichiarato il recesso illegittimo per giustificato motivo soggettivo. La Corte d'Appello di Bologna ha in primo luogo ribadito la regola generale dell'immutabilità della contestazione (cfr. Cass. n. 8953/93; n. 2414/95) atteso che, diversamente, verrebbe vanificata quella possibilità di contestazione - da parte del lavoratore licenziato - a garanzia della quale l'enunciazione dei motivi è richiesta (v. Cass. n. 3564/86) pur restando fermo il potere del giudice di qualificare (diversamente) i fatti posti a base del provvedimento espulsivo. Senza censurare la sentenza di primo grado sotto questo profilo, i giudici dell'appello hanno ritenuto non sussistere la giusta causa (respingendo così l'appello incidentale proposto dalla banca) ponendo attenzione agli aspetti concreti afferenti alla natura e qualità dello specifico rapporto, ed in particolare all'intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo (Cass. n. 10568/97; n. 1016/98; n. 13354/99; n. 14257/00) non ritenendo sufficiente l'irregolarità oggettiva della condotta del lavoratore a fondare il giudizio di proporzionalità tra l'illecito e la sanzione del licenziamento (cfr. Cass. n. 10957/97; n. 14257/00 ed altre) ma occorrendo invece determinare la potenzialità del comportamento del prestatore di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento (Cass. n. 8139; n. 14004/00). Valutando il caso concreto, quindi, la Corte d'Appello è pervenuta alla convinzione che la mancanza accertata dell'omessa informativa ai superiori in cui era incorsa la lavoratrice non poteva essere reputata grave, e che vi fosse quindi sproporzione tra infrazione e sanzione, potendo la prima essere colpita da una (più lieve) sanzione conservativa. In conclusione veniva accolto l'appello principale della dipendente ed ordinata la reintegrazione con il pagamento di un'indennità globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva assunzione




Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 10/04/2006
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 181/06
Parti: Gaia G. / Poligrafici Editoriale SpA
GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO - RITARDATO RIENTRO AL LAVORO DALL’ESTERO DEL DIPENDENTE STRANIERO – MANCATA VINCOLATIVITA’ PER IL GIUDICE DELLE PREVISIONI DEL CCNL, SALVO DI QUELLE PIU’ FAVOREVOLI AL LAVORATORE - CARENZA DELL’ELEMENTO SOGGETTIVO: ILLEGITTI


Un lavoratore dipendente da circa dieci anni di una società era solito cumulare le ferie unendovi anche permessi non retribuiti per poter rientrare in Ghana (proprio paese d’origine e dove risiede la sua famiglia) e restarvi un periodo sufficientemente lungo, anche per ammortizzare le spese di viaggio. A tal fine egli era tenuto a formulare una richiesta scritta, con l’indicazione dell’intero periodo d’assenza, che doveva essere autorizzato dall’ufficio del personale. Nell’anno 2001 il dipendente, dopo aver originariamente richiesto un periodo complessivo dal 20.9.01 al 10.12 aveva poi chiesto (ed ottenuto) di posticipare la data di partenza di sei giorni, ritenendo di aver ottenuto anche il posticipo della data di rientro dall’assenza. Al contrario la società lo licenziava per (presunta) giusta causa, invocando la norma del contratto collettivo che consente la risoluzione del rapporto in caso di assenza ingiustificata superiore a tre giorni. Il Tribunale di Reggio Emilia confermava la legittimità del licenziamento, ritenendo sussistenti sia la “rilevante entità oggettiva” dell’assenza (di dieci giorni) sia la “non trascurabile gravità soggettiva della stessa” in quanto traente causa da una “colpa grave del lavoratore”. L’istruttoria si era infatti incentrata sulla prova, che il lavoratore non aveva fornito, di aver ricevuto assicurazioni dal capo reparto sullo spostamento dell’intero periodo di ferie per effetto della posticipazione del relativo giorno iniziale.

Tale circostanza non viene considerata dirimente dalla Corte d’Appello di Bologna, che riforma la sentenza dando ragione al lavoratore, invocando in primo luogo il principio in forza del quale la valutazione della proporzionalità tra il fatto addebitato al lavoratore e il licenziamento disciplinare costituisce apprezzamento di fatto che deve essere condotto non in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità del rapporto e tenendo conto non solo della natura del fatto contestato e del suo contenuto obiettivo ed intenzionale, ma anche di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c. alla fattispecie concreta (Cass. 10.1.2004 n. 215; cfr. pure Cass. 20.8.2003 n. 12273; Cass. 15.2.2003 n. 2336; Cass. 26.5.2001 n. 7188; Cass. 14.5.1998 n. 4881) non essendo il Giudice vincolato dalla previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti (art. 2119 c.c.) ed il principio generale di ragionevolezza e proporzionalità, salvo il caso in cui il trattamento contrattuale sia più favorevole al lavoratore (cfr. Cass. 19.8.2004 n. 16260; Cass. 27.2.2002 n. 14041; Cass. 21.5.1998 n. 5103; Cass. 16.2.1998 n. 1604; Cass. 2.7.1992 n. 8098; Cass. 13.6.1984 n. 3522; Cass. 12.1.1983 n. 203; Cass. 3.11.1980 n. 5880).

Esaminando il caso concreto la Corte ritiene “del tutto verosimile, anche tenendo conto della non buona conoscenza dell’italiano da parte dell’odierno appellante, che quest’ultimo abbia inteso – o frainteso – che lo spostamento concordato del periodo feriale riguardasse pure la data del rientro, in relazione al nuovo volo che aveva a tal fine reperito, e non può quindi ritenersi che fosse in malafede quando rientrò in azienda dopo il termine originariamente comunicatogli. In altri termini, a fronte di quanto sin qui evidenziato, resta escluso l’elemento soggettivo della gravità dell’infrazione da lui commessa e, conseguentemente, la proporzione tra il fatto e la sanzione irrogatagli”. Considerando poi il comportamento del lavoratore negli anni passati (che non aveva mai dato adito a contestazioni) la Corte stigmatizza la condotta dell’azienda: “quest’ultima, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto adottare una maggiore cautela nel ritenere negligente e grave il mancato tempestivo rientro del lavoratore: soprattutto sapendo – o potendo facilmente conoscere, anche tramite gli altri dipendenti –che l’odierno appellante era andato nel suo paese d’origine…”

Conseguentemente la Corte d’Appello di Bologna dichiara il licenziamento privo di giusta causa (ed anche di giustificato motivo, tenendo conto dell’assenza della volontà del sig. D. di non rispettare la disciplina aziendale concernente l’autorizzazione dei periodi di ferie), ordinando alla società la reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro al pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre che al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio.

 




Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 16/11/2006
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 406/06
Parti: FIOM / Rizzoli Ortopedia S.p.A.
GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO – MANCATA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE: IRRILEVANZA - NECESSARIA PROPORZIONALITÀ TRA SANZIONE E INFRAZIONE.


CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA 16 novembre 2006 n. 406/06 (Est. Benassi)

M. Cristina B. / CNA SERVIZI PARMA scarl

GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO – MANCATA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE: IRRILEVANZA - NECESSARIA PROPORZIONALITÀ TRA SANZIONE E INFRAZIONE.

Art. 2119 cod. Civ.

Art. 7 legge n. 300/70

Art. 2105 cod. civ.

Art. 2106 cod. civ.

L’accusa mossa alla dipendente era quella di aver fatto ripetuto uso di attrezzature d’ufficio per esigenze estranee ai compiti assegnatile e di avere in particolare, un determinato giorno, inviato ad un estraneo alcune tabelle salariali. La lavoratrice aveva impugnato il licenziamento avanti al Tribunale di Parma che lo aveva dichiarato illegittimo, pur avendo dichiarata infondata la censura relativa alla mancata affissione del codice disciplinare in quanto, nella specie, la cooperativa aveva posto alla base del licenziamento la violazione del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 cod. civ., avendo contestato alla lavoratrice la non legittima trasmissione all’esterno, ad un soggetto sicuramente non abilitato a riceverle, delle tabelle salariali elaborate dalla CNA. Il primo giudice ha infatti ritenuta fondata la seconda censura con la quale era stata dedotta l’illegittimità del provvedimento espulsivo per sproporzione rispetto alla gravità dei fatti contestati. Ad identiche conclusioni perviene la Corte d’Appello di Bologna investita del caso a seguito di ricorso della società. I giudici di secondo grado considerano che la decisione del Tribunale è conforme al principio di diritto più volte enunciato dalla Suprema Corte (v. tra le tante Cass. n. 9299/04; n. 4061704; n. 13824/03) secondo cui in materia di licenziamenti la valutazione della gravità degli addebiti si risolve in una apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, il quale deve valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale; dall’altro la proporzionalità tra i fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario sia tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare, definitivamente espulsiva. Nella valutazione del rapporto di proporzionalità, anche recentemente richiamato dalla Corte di Cassazione (Sent. n. 10742/06), il giudice deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore in quanto anche esse incidono nella determinazione della gravità della trasgressione e quindi della legittimità della sanzione stessa. Per quanto poi concerne la rilevanza di episodi simili a quello contestato ma non richiamati nella lettera di contestazione i giudici dichiarano che, “come ampiamente noto (v. tra le tante, Cass. n. 428/05), soltanto l’episodio espressamente contestato può essere posto a base del recesso e preso in considerazione ai fini della valutazione della sua legittimità. Anche di recente, infatti, la Corte di Cassazione (v., Cass. n. 12644/05) ha, in motivazione, ribadito che invero, nei licenziamenti disciplinari (per colpa, in senso generico, del lavoratore), la contestazione specifica preventiva dell’addebito al lavoratore incolpato (ai sensi dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, cd. Statuto dei lavoratori) – secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (vedine le sentenze n. 204/82, 1068/88, 427/89, 364/91) e di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 4823/87, 9302/87, 935,1209/88, 3965, 4845/94 delle sezioni unite; n. 2287, 8956/93, 6988/98, 11265/2000, 9167/2003, 11245/2004 della sezione lavoro) – concorre ad assolvere la funzione di garanzia del diritto di difesa allo stesso lavoratore, nell’ambito del procedimento preliminare – contestualmente previsto – per l’intimazione del licenziamento (come per l’irrogazione di ogni altra sanzione) disciplinare. In coerenza con la funzione di garanzia prospettata, la contestazione specifica preventiva dell’addebito è condizione indefettibile di legittimità del licenziamento (come di ogni altra sanzione) disciplinare - secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 10760/2000, 11279/2000, 8493/99, 5419, 2045/98, 11245/2004) - ed impone la corrispondenza fra gli addebiti contestati e quelli addotti a sostegno dello stesso licenziamento (o di altra sanzione) disciplinare. Tuttavia il requisito della specificità della contestazione degli addebiti deve riguardare – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, oltre quelle citate, le sentenze n. 2238/95, 6877/88) – elementi, dati ed aspetti essenziali dei fatti materiali. Del pari coerentemente, l’attitudine a frustrare o, comunque, a pregiudicare la stessa funzione di garanzia delimita – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze n. 2287, 8956/93, 6988/98, 1265/2000, 9167/2003, 11245/2004, cit.) – l’operatività del principio di immutabilità dei fatti contestati. In altri termini, non risultano precluse dall’operatività degli stessi principi (di contestazione specifica preventiva dell’addebito, appunto, e di immutabilità dei fatti contestati) – in quanto compatibili con la funzione che, per quanto si è detto, ne risulta perseguita – le modificazioni dei fatti contestati, che non configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave, ma riguardino circostanze prive di valore identificative della stessa fattispecie e, perciò, non precludano la difesa del lavoratore su base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati, seguito della contestazione dell’addebito”.

Conseguentemente la Corte d’Appello di Bologna rigetta l’appello proposto da CNA Servizi.




Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 13/08/2009
Giudice: D'Amico
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: G. MARCO / AUTOSTRADE PER L’ITALIA SPA
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - ELEMENTO FIDUCIARIO – RILEVANZA DEI COMPORTAMENTI EXTRA-LAVORATIVI – RILEVANZA DELLE PREVISIONI DEL CCNL - POSSIBILTA’ DI CONVERSIONE IN GIUSTIFICATO MOTIVO


Art. 2119 cod. civ.

Art. 51 del C.C.N.L. per i dipendenti dell'industria piastrelle e refrattari

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - ELEMENTO FIDUCIARIO – RILEVANZA DEI COMPORTAMENTI EXTRA-LAVORATIVI – RILEVANZA DELLE PREVISIONI DEL CCNL -  POSSIBILTA’ DI CONVERSIONE IN GIUSTIFICATO MOTIVO 

Nel corso di una cena aziendale organizzata per festeggiare il buon andamento della produzione dello stabilimento, il sig. YY rivolgeva all'indirizzo dell'allora amministratore delegato e vice Presidente del Consiglio di Amministrazione della società datrice di lavoro le seguenti frasi: "fatti vedere in fabbrica anche adesso che le cose vanno meglio visto che fino a poco tempo fa eri in stabilimento solo per spaccare i maroni", "tua moglie [...] mi fa pena per avere in casa un marito così spacca balle", "visto che non ti fai più vedere in stabilimento manda almeno tuo padre al tuo posto".

Per questa ragione il dipendente veniva dapprima sospeso cautelativamente e successivamente licenziato per giusta causa, licenziamento che il Tribunale di Modena dichiarava illegittimo: di qui l’appello della società, la quale   lamenta che il Tribunale (che non avrebbe nemmeno indicato gli elementi e le condizioni ostativi alla riqualificazione del licenziamento in termini di giustificato motivo soggettivo provvedendo d’ufficio alla correlata conversione), avrebbe nonostante il riconosciuto carattere ingiurioso delle frasi pronunciate (peraltro esprimenti disprezzo "per il chiaro intento allusivo agli organi genitali" e comportanti discredito del ruolo anche istituzionale del proprio legale rappresentante), ricondotto all'allentamento dei freni inibitori determinato dall'abuso di alcool il comportamento del lavoratore e ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva, senza attribuire rilievo all'inesistenza di rapporti confidenziali tra i partecipanti alla cena e del millantato rapporto di amicizia nonché alla reiterazione di parole offensive erroneamente riguardate come un'unitaria condotta non sintomatica di "mancanza di educazione e correttezza" da parte del dipendente.

La Corte d’Appello di Bologna respinge il ricorso confermando l’illegittimità del licenziamento in base ai seguenti ragionamenti.

In primo luogo i giudici bolognesi prendono in esame la categoria della “fiducia” il cui venire meno legittimerebbe il recesso, accogliendo una nozione di fiducia di contenuto rigorosamente "oggettivo" non riconducibile, neppure in astratto, alla sfera soggettiva ed arbitraria del datore, o peggio ad un atteggiamento psicologico e personale nei confronti del lavoratore, ma ancorata a comportamenti o fatti oggettivamente gravi e valutabili in concreto".

Il venir meno dell’elemento fiduciario, secondo la Corte, sussiste – secondo un significato di matrice codicistica (art. 1564 c.c.), id est la fiducia nei successivi adempimenti – quando il datore non può più fare affidamento sull'esattezza degli adempimenti futuri; tanto che la continuazione della prestazione potrebbe costituire un pericolo per l'incolumità delle persone, gli impianti o per il regolare svolgimento dell'attività lavorativa".

Per accertare la lesione della fiducia, secondo il S.C., inoltre sono da considerare i riflessi e le ricadute dei fatti esterni e/o estranei nell'ambito specifico del rapporto e nel luogo di lavoro: i fatti diversi dall'inadempimento contrattuale integrano una giusta causa di recesso "purché producano effetti riflessi nell'ambiente di lavoro", ovvero siano idonei a "scuotere la serenità e normalità dei rapporti di colleganza tra i lavoratori e di collaborazione tra questi ed il datore" (Cass., 3-2-1994 n. 1086; Cass., 8-2-1993 n. 1519).

Uno speciale rilievo è attribuito anche alla posizione professionale e alle specifiche mansioni svolte dal lavoratore facendosi coincidere l'attitudine a ledere la fiducia con il giudizio d'inidoneità professionale (v. Cass., 16-5-1998 n. 4952; Id., 8-3-1998 n. 2626; Cass., 15-1-1997 n. 360; Id., 8-2-1993, n. 1519; Id., 3-3-1992 n. 2574; Id., 23-5-1991 n. 6180) con la conseguenza dell'impossibilità di proseguire il rapporto [ad es., "il carattere elementare delle mansioni svolte [...] e la loro collocazione ai più bassi livelli dell'organizzazione aziendale" sono ritenuti idonei ad escludere l'incidenza di fatti, pur se gravi, sul vincolo fiduciario - Cass., 22-11-1996 n. 10299; v. anche Cass., 14-7-2001 n. 9590 e Cass., 4-9-1999 n. 9354 secondo cui "i comportamenti tenuti dal lavoratore nella sua vita privata ed estranei perciò alla esecuzione della prestazione lavorativa, se in genere sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo - cioè all'esatto adempimento delle future prestazioni - specialmente quando, per le caratteristiche e peculiarità di esso, la prestazione richieda un ampio margine di fiducia (cfr. in questo senso Cass. 3 aprile 1990 n. 2683, 23 maggio 1992 n. 6180, 10 ottobre 1995 n. 11500)"].

La S.C. ha chiarito che la valutazione dei riflessi endocontrattuali dei comportamenti extra-lavorativi è da operare con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì tenendo conto delle connotazioni soggettive ed oggettive dei comportamenti, con particolare riguardo al contesto ambientale, dei motivi che hanno ispirato l'azione e dei suoi effetti, dell'intensità del dolo e della colpa, della qualifica o qualità dei soggetti attivi o passivi di detti comportamenti [occorre tenere conto "della natura e qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, delle mansioni espletate, nonché del particolare grado di fiducia connesso alla struttura dell'impresa o alla qualifica rivestita, e valutare quindi se la mancanza commessa, per le sue modalità soggettive ed oggettive, si riveli così grave da compromettere la .fiducia del datore di lavoro circa la esattezza delle future prestazioni lavorative del dipendente e da non consentire pertanto la prosecuzione del rapporto": Cass., 18-10-1986 n. 6157; Id., 4-7-1989 n. 3194; v., in generale, anche Cass., 27-11-1999 n. 13299 e Cass., 21-11-2000 n. 15004 che ha precisato che "per la struttura del rapporto (che si protrae nel tempo) e per la funzione della fiducia (che emerge solo nella prospettiva di questa protrazione), assume determinante rilievo la potenzialità, che ha il fatto addebitato, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento (ex plurimis, Cass. 27 Novembre 1999, n. 13299)" aggiungendo che "ai fini della fiducia, assume rilievo il potere di scelta discrezionale (attribuito al dipendente): potere che, presupponendo pieno affidamento, determina la dilatazione della fiducia datoriale necessaria alla specifica mansione; 3.2. alla dilatazione di questa fiducia astrattamente necessaria, corrisponde la restrizione del comportamento concretamente idoneo ad escludere la fiducia stessa (più ampia è la fiducia necessaria, più limitato è il fatto sufficiente ad escluderla); 3.3. al fine della prognosi sulla futura correttezza del comportamento, ha negativo rilievo il. fatto che il comportamento lesivo della fiducia abbia avuto sensibile protrazione e permanenza nel tempo, in tale quadro assumono significato sia le pregresse violazioni, sia la struttura della singola violazione addebitata, quale comportamento non mome